"Ereditò
un impero allo sbando. nei nove anni del suo principato riuscì, sul piano
militare e su quello delle realizzazioni amministrative e civili, a compiere un
radicale riassetto dello stato"
Un Principe contadino
Con Tiberio giunse al potere la famiglia Claudia in sostituzione di quella
Giulia.
Dopo i grandissimi Cesare ed Augusto e dopo la felice amministrazione di Tiberio. La famiglia Claudia esprimerà altri 3 Imperatori (Caligola, Claudio e Nerone), ma Roma vivrà 33 anni di penosi eventi.
Caligola e Nerone daranno segni d’eccessi e di follia solo in parte
mitigati dalla buona amministrazione di Claudio. Emergevano in una luce sempre
sinistra i tristi maneggi dell’ambiente di corte. Come con Tiberio, in ruolo
nefasto svolgevano i Prefetti del Pretorio. Cominciarono anche le ribellioni
delle Legioni che fino ad allora avevano costituito l’ossatura della potenza
romana. Si viveva in uno stato d’anarchia militare. Il 69 fu l'anno di tre
Imperatori imposti a Roma dalla forza delle Legioni: un luttuoso anno di guerre
civili in cui le Legioni si scontrarono fra di loro per imporre il proprio
Imperatore.
L'Amministrazione creata da Augusto e consolidata da Tiberio fu la
piattaforma robusta che salvò l'Impero romano.
L'Impero funzionò egregiamente anche sotto le stravaganze di un Caligola
o di un Nerone. Il vertice politico
dello Stato aveva creato molte falle nell’Impero, ma l’assetto amministrativo
posto in atto dai grandi Imperatori era riuscito a salvarlo dal naufragio.
Ma ora occorreva un nuovo Imperatore che fosse e si sentisse il Principe di
tutto l'Impero, come unità totale, e non un più o meno capriccioso Signore
dell'aristocrazia urbana.
Da queste fosche tinte emerse Vespasiano.
Aveva 60 anni e sembrava destinato ad essere una breve meteora, ma
governerà su Roma per nove anni e saranno anni di grande ripresa. Fu l'Imperatore della diaspora degli ebrei,
della tassa sull'urina, del Colosseo.
Ereditò un Impero allo sbando. Era un Generale, ma sentì sempre le sue radici contadine. Fece
chiudere il tempio di Giano ed erigere un Foro dedicato alla Pace. Lascerà un
Impero ricostruito nel morale, nelle finanze, nella sua capacità militare.
Con lui inizia la dinastia Flavia che darà all'Impero un'era di
straordinaria sicurezza: scomparso il fasto stravagante della famiglia Claudia,
la storia romana acquista il carattere non di cronaca della sola corte, ma di
storia dei popoli, appartenenti ad un Impero immenso, che cominciavano ad
assaporare i frutti di una civiltà comune.
Le origini. Il carattere.
Era nato a Rieti nel 9 d.C. da una famiglia contadina priva di tradizioni
aristocratiche. Fu Soldato e militò
valorosamente in quasi tutte le provincie, in particolare, in Germania ed in
Britannia. Ottenne il Consolato nel 51,
sotto l'Imperatore Claudio. Era una
persona dalla schiena diritta e si scontrò, ovviamente, con Nerone che lo mise
da parte. Si racconta che Nerone lo
abbia fatto perché si era assopito durante uno dei suoi concerti. Lo stesso Nerone, però, si ricordò di questo
valoroso Generale quando nel 66, inaspettatamente, gli affidò il Comando di tre
Legioni e Truppe ausiliarie per domare la rivolta scoppiata in Giudea.
Non era brillante, ma era duttile e tenace: una volta convinto che una cosa
dovesse essere fatta la portava avanti con testardaggine e risolutezza
superando tutto gli ostacoli. Non era
un aristocratico, né uno stravagante raffinato. Aveva conosciuto la povertà ed imparato a condurre una vita da
contadino. Ma era anche colto e capace
di scherzare in greco ed in latino.
Aveva la soda concretezza, la sottile arguzia del contadino, ma,
soprattutto, tanto buon senso e ….. piedi ben piantati per terra.
Esemplifica il tipo di uomo al quale il Principato offrì nella vita pubblica una carriera che non gli sarebbe stata consentita durante la Repubblica. Suo padre, infatti, apparteneva all'ordine equestre.
Aveva operato quasi sempre in Provincia. Fu un'esperienza utile e preziosa
sia per lui sia per l'Impero e le stesse Provincie.
La sua candidatura alla carica imperiale fu posta dall'Egitto e dalle provincie orientali, sostenuta dalle Legioni ivi stanziate.
La sua carriera era stata degna di lode, sia pure non eccezionale, ed in
tutte le sedi ove aveva prestato servizio aveva lasciato un ottimo
ricordo. Lungo la frontiera danubiana
la sua candidatura fu accolta con entusiasmo.
Alla fine della lotta civile contro le Coorti Pretorie di Vitellio, i
sostenitori di Vespasiano ne uscirono vincitori.
Fu designato Imperatore nel dicembre del 69 mentre era Governatore della
Giudea, ma nell'estate del 70 era ancora in Egitto. Si sparse la voce che avesse operato guarigioni miracolose di un
cieco e di uno storpio. Sembrava
essersi verificata quella profezia (riferita al Cristo) secondo cui dalla
Giudea sarebbe venuto l'Uomo che avrebbe dominato il mondo.
Proclamato Imperatore, affidò il comando delle operazioni in Giudea al
figlio Tito. Ma non tornò subito a Roma.
Si dette a consolidare, da lontano, la sua posizione e, nel lento
viaggio di ritorno, approfittò per conoscere le situazioni locali di molte
Provincie e città dell'Asia e della Grecia (come aveva fatto a suo tempo
Augusto).
Giunse a Roma nell'ottobre del 70 e ridusse subito il numero delle Coorti
Pretorie da 16 a 9 ponendovi a capo il figlio Tito. Era essenziale convincere tutti che anche i Legionari sarebbero
stati tenuti a freno. Vespasiano riuscì
ad imporre la disciplina ai Legionari dando loro Generali molto capaci, scelti
in particolare modo fra gli Italici ed i Provinciali.
La necessità più urgente era quella di riparare al danno morale e
psicologico di una guerra civile e far risorgere la fiducia in tutto
l'Impero. Occorreva la paziente opera
del chirurgo che a Vespasiano non difettava. Sotto di lui lo Stato riprese un
prospero cammino.
Fu uomo di gusti semplici, non avvezzo agli sperperi. Mise bruscamente fine alle stravaganze ed ai
lussi della Corte, imponendo un tono di moderazione e di frugalità. Promosse
ovunque e continuamente un'opera di romanizzazione. Ne fa fede la concessione del diritto latino a tutta la Spagna.
Mirava sempre ad un alto livello di efficienza. Un damerino che gli si era
presentato, tutto profumato, a ringraziare per una nomina ottenuta, fu
licenziato con queste parole: "Preferirei che tu puzzassi di aglio"
ed ebbe cancellata la nomina.
Mostrò doti di saggezza e di buon senso con una condotta di vita senza
pompa esteriore, ma affermò subito il principio della successione dinastica.
Fin dall'inizio coinvolse il figlio Tito nella guida dell'Impero. Furono Consoli insieme per sette volte. Su un gradino leggermente inferiore fu posto
l'altro figlio Domiziano. Ma
Vespasiano, sostanzialmente, esercitò il potere di persona, con un'attività
perseverante ed equilibrata che durò per tutto il suo regno. Fondamento di tale stato d’equilibrio fu la
relazione con il Senato.
Era difficile motivare un Senato che nei decenni precedenti aveva dato
tante prove d’inefficienza e di debolezza.
Eppure Vespasiano seppe trovare il tasto giusto, favorito anche dal
fatto che all'interno della sua corte e della sua famiglia non sorsero mai
intrighi.
Resosi contro della precaria situazione in cui si trovava il Senato,
immiserito dalle lotte scatenatesi nei decenni precedenti, fece effettuare una
nuova "Lectio Senatus" e portò da 200 a 1000 il numero delle famiglie
della nobiltà senatoria, in gran parte di provenienza italica e provinciale.
Fu il primo ad inserire fra i Patrizi dei provinciali. La bontà di questa
scelta può essere confermata da un solo nome: M. Ulpio Traiano, di origine
spagnola, futuro grande Imperatore, l’Optimus.
Vespasiano seppe stimolare anche i rappresentanti dei Cavalieri e dei
Liberti il cui impiego nei posti dell'amministrazione aumentò fortemente. Questi due ordini si avviavano ormai ad una
sostanziale parificazione dando luogo a quella che sarà poi la borghesia.
Anche sul piano militare l’inizio del regno di Vespasiano non fu certamente
favorevole perché un Capo batavo, Giulio Civile, approfittando della critica
situazione delle Legioni, fomentò un moto di riscossa dei Germani e dei Galli
contro Roma. La rivolta fu domata in
breve tempo da un esercito romano prontamente ricostituito.
La rivolta era stata favorita dal fatto che gli Ausiliari erano arruolati
ed impiegati negli stessi territori ed erano comandati da Capi della stessa
stirpe. Ciò aveva portato, nel tempo,
ad un attrito fra Ausiliari e Legionari e, nel caso specifico della rivolta di
Giulio Civile, molti Ausiliari avevano abbracciato la causa dei rivoltosi, loro
connazionali.
Fu adottato un provvedimento con cui gli Ausiliari non erano più comandati
da loro Capi e dovevano prestare servizio in provincia diversa da quella
d’origine. In tal modo fu rapidamente
ricostituito il poderoso apparato difensivo del Reno e ristabilita la sicurezza
verso l'esterno.
Nello Scacchiere orientale era in corso la guerra giudaica. Vespasiano l'aveva condotta con alterne
vicende negli anni precedenti. Quando fu acclamato Imperatore, nel 70, non
rimaneva che conquistare Gerusalemme ed eliminare la resistenza d’alcune
fortezze. Il compito fu affidato al figlio Tito. Nell'estate del 70, la
resistenza di Gerusalemme fu vinta. Il Tempio sacro di Salomone fu saccheggiato
e distrutto, creando un insolubile odio fra romani ed ebrei. Nel 72 fu presa anche la fortezza di Masada
i cui difensori si uccisero tutti.
La guerra fra la Giudea e Roma era soprattutto un conflitto tra mentalità
incapaci di comprensione reciproca, un conflitto fra l'ideale giudaico dello
Stato subordinato alla religione nazionale e l'imperialismo romano nel quale la
religione stessa era subordinata allo Stato.
Con la distruzione del Tempio di Gerusalemme i Romani distrussero il
centro politico e religioso del giudaismo.
I capi degli ebrei furono portati a Roma come trofeo da esporre durante il
trionfo. Sulla via Sacra fu eretto
l'arco di Tito. Complessivamente, fu
annientato quasi un milione d’Ebrei e, da quel momento, i pochi sopravvissuti
cominciarono a disperdersi per tutta l'Europa dando inizio alla loro diaspora.
La sua opera di riorganizzazione cominciò dalle finanze, in cui lo sperpero
dissennato delle risorse da parte di Nerone avevano creato grossi
squilibri. L'attività finanziaria finì
col dare quasi il marchio caratteristico al regno di Vespasiano. In realtà il
settore delle imposte fu soltanto riordinato e poche furono le nuove imposte
introdotte. Non deve confondere, per
tale aspetto, la famosa tassa sull'urina introdotta proprio da Vespasiano.
Fu estremamente pignolo in questo riordinamento amministrativo con tutta
una serie di disposizioni di dettaglio tese a risparmiare quanto più
possibile. Ad esempio, impose che ogni
delegazione che si recava in trasferta fosse composta da un massimo di tre
persone. La sua amministrazione fu così
corretta ed il controllo così efficace che, durante il suo regno, non si ebbero
casi di Governatori condannati per estorsione.
Unico settore in cui consentì una certa larghezza finanziaria fu quello dei
lavori per pubblica utilità. Fece ricostruire il tempio Capitolino ed il tempio
di Vesta. Diede inizio al Foro della
Pace. Avviò un poderoso programma di manutenzione degli acquedotti. Costruì quello che nei secoli,
nell'immaginario collettivo, sarà il simbolo di Roma, il Colosseo, o più
correttamente, l'Anfiteatro Flavio, con tre ordini d’archi sovrapposti
(l'ultimo ordine, con finestroni rettangolari, sarà realizzato da Domiziano
alcuni anni dopo).
Al di sopra di questa meritoria opera di restauro materiale, vi sono il
riordinamento dell'esercito ed il riassetto del governo.
Per quanto attiene all'esercito, il problema di fondo era di riprendere il controllo
sulle Legioni. Vespasiano vi riuscì in
maniera mirabile, tanto che occorreranno 150 anni prima del ripetersi di quei
fenomeni d’anarchia militare che avevano caratterizzato l'anno 69. Lo stesso rinnovamento dell'aristocrazia
recò il vantaggio di porre alla testa dei corpi militari uomini nuovi, maturati
in un lungo servizio senza favori e privilegi.
L'esercito fu meno impregnato di nobiltà, ma la progressione di carriera fu
fortemente scandita dalla meritocrazia e dai lunghi periodi di comando. Ad esempio, Traiano, il futuro Imperatore,
fece 10 anni di Tribunato militare effettivo.
Con Vespasiano si cominciò a delineare una certa divaricazione fra la
carriera militare e quella politica, talché i vecchi nobili urbani potevano
anche fare carriera tenendosi del tutto lontano dall'esercito, come succederà a
Nerva, anch'egli futuro imperatore, che però non aveva mai avuto un Comando di
Legione.
Si è già parlato delle modifiche al reclutamento ed all'impiego degli
Ausiliari. Un'altra innovazione introdotta
da Vespasiano fu una diversa concezione difensiva. In precedenza, la difesa delle frontiere era imperniata su un
numero limitato di massicci concentramenti di Legioni. Con Vespasiano, invece, le forze furono più
diluite lungo tutta la linea difensiva.
Sparirono i pochi, poderosi capisaldi ove erano accentrati tre o quattro
Legioni e presero corpo installazioni difensive più leggere con forze più
diffuse sulla linea di confine.
Quello che una volta era stato un esercito di campagna andava trasformandosi
in un esercito di guarnigione. La
Legione cominciava a perdere il carattere di mobilità, mentre si diffondeva
l'uso di inviare in altre Provincie non intere Legioni, come al tempo di
Augusto, ma distaccamenti di Legionari (Vexillationes). Si cominciavano a creare, quindi, truppe da
campagna distinte da quelle di frontiera.
Le Legioni di Augusto erano state unità mobili con semplici
acquartieramenti dislocati lungo le grandi vie. Con Vespasiano, le forze furono dislocate non sulle grandi vie,
ma sulle posizioni forti della linea di confine. La dislocazione è più
stanziale ed i Castra cominciano ad essere ricostruiti in pietra per un
insediamento più duraturo.
L'esercito augusteo era strutturato per agire a massa. Il nuovo esercito di
Vespasiano era ispirato ad una concezione di difesa avanzata delle frontiere e
quindi era più articolato. Alle unità che occupavano le fortezze si
affiancavano ora altre formazioni mobili addestrate alla guerriglia ed al
pattugliamento.
Sostanzialmente, non vi erano riserve perché si confidava che le buone
comunicazioni avrebbero facilitato il trasferimento di truppe da un settore
all'altro della frontiera.
Con la riorganizzazione di Vespasiano si concretava il "Limes"
romanico, quella linea di confine chiaramente marcata sul terreno con tutti gli
apprestamenti difensivi, gli itinerari di afflusso e di raccordo che, nel loro
complesso, costituivano barriera tangibile e concreta che separava il mondo
della civiltà dalle barbare regioni esterne. Il vomere sostituiva la spada.
Vespasiano fu il primo Imperatore, dopo Tiberio, veramente dotato di una
salda esperienza di problemi militari. Rifuggiva da ogni dottrinarismo
preferendo le cose semplici e chiare.
Le legioni che si erano mal comportate durante la guerra civile furono sciolte
o fuse con altre.
Complessivamente, le misure poste in atto da Vespasiano, sia pure poco
vistose, consentirono di avere un esercito più disciplinato, meglio comandato e
con un alto grado d’efficienza.
Dopo la guerra batavica e quella giudaica, per lunghi anni le forze romane
non dovettero affrontare situazioni d’altrettanta gravità. Esse furono impegnate a rafforzare la
presenza sulla linea difensiva raggiunta, specie in Britannia ove fu completata
la sottomissione del Galles. Fu solo accarezzata l'idea di tentare una
spedizione in Irlanda.
La difesa del Reno fu migliorata dislocando sulla riva destra una serie di
capisaldi delle truppe ausiliarie raccordati da forti in cui furono dislocate
unità di maggiore consistenza.
Per quanto attiene al riassetto del governo, mentre la nobiltà senatoria
riprese a fornire i più alti collaboratori del Principe, crebbero per numero ed
importanza, i funzionari provenienti dall'ordine equestre.
La sua azione di governo s’irradiò con la stessa intensità in tutte le
provincie. Dopo Augusto e Tiberio, per
la prima volta, il mondo provinciale aveva un Principe che lo conosceva
pressoché tutto per esperienza diretta.
Nei lunghi anni di servizio, infatti, Vespasiano aveva soggiornato in
tutte le Provincie del suo regno. Di
quest’esperienza e conoscenza diretta si avvalse certamente per le sue riforme
Sul piano giuridico, eliminò quei processi per lesa maestà che tanti danni
avevano prodotto già a partire dal periodo di Tiberio.
I suoi Generali ed i suoi Governatori finirono per costituire una nuova
aristocrazia di carriera. Ebbe la lealtà e la collaborazione delle persone a
lui sottoposte, imponendosi con il valore dell'esempio, giacché non risparmiava
le sue forze e lavorava alacremente.
Fu alieno dal culto verso la sua persona e severo nell'escludere la
famiglia da onori eccessivi. Fu,
tuttavia, ben consapevole del valore politico del culto imperiale.
La sua morte giunse inattesa. Si
era recato presso Rieti per curarsi alle Terme di Cotilia, quando vi morì il 23
giugno del 79. Aveva 69 anni ed aveva
regnato per nove anni.
Al momento della morte, si alzò dal letto dicendo: “L’Imperatore muore in
piedi”. Ed era stato un Imperatore
dalla schiena diritta. Non aveva la genialità di un Cesare o la lungimirante
sagacia di un Ottaviano, ma tanto buon senso, dirittura morale e severità
personale. Proprio di questo aveva bisogno Roma dopo i decenni dalle tinte
fosche da cui era emerso Vespasiano, un ottimo Imperatore romano.
Dei suoi predecessori ammirava Augusto cui in molte cose rassomigliava. Ed
è significativo che abbia fatto sorgere il suo anfiteatro (il Colosseo) proprio
nella zona in cui avrebbe voluto erigerlo Augusto. Imitando Augusto aveva fatto
della pace e dell'ordine il suo motto.
Merita, quindi, di prendere posto accanto alla schiera dei migliori
Imperatori.