Le origini del Tricolore

Nel 1848 Carlo Alberto capì che

poteva essere segno di unità

(Corriere della Sera, 5 gennaio 2003)

La Festa del Tricolore, molto opportunamente voluta dal Presidente della Repubblica per corroborare la coscienza nazionale, sospinge a ripercorrerne origini e vicende.

I primi a idearlo furono due studenti dell'Università di Bologna, Luigi Zamboni e Giambattista De Rolandis, nativo di Castellalfero, oggi in provincia di Asti. Unirono il bianco e il rosso delle rispettive città al verde, colore della speranza: di «far risorgere l'Italia a nuova vita», senza «far da scimmia alla Francia». Era il 1794.
Volevano abbattere il dominio pontificio e sostituirlo con un governo liberamente eletto. Entusiasmo a parte, avevano a disposizione tre fucili e cinque sciabole. Traditi e catturati, furono sottoposti a orribili torture. Zamboni venne rinvenuto impiccato in cella (poco più che una gabbia) il 18 agosto 1795. De Rolandis fu afforcato il 23 aprile 1796 alla Montagnola di Bologna. Poco prima, gli vennero «tolte le forze». Vale a dire fu evirato. Donata da un lontano parente, Ippolito (Ito), la coccarda di Giambattista De Rolandis è conservata al Museo degli studenti dell' Università di Bologna. Un nipote di Giambattista, Giuseppe, fu medico di Carlo Alberto, re di Sardegna. Secondo quanto scrisse il patriota e scrittore Angelo Brofferio, Giuseppe morì fissando la celebre coccarda.
Era il febbraio 1848. Lo Statuto promulgato il 4 marzo stabilì che lo Stato sabaudo conservava la bandiera in uso: la «coccarda azzurra era la sola nazionale».

L'11 aprile Carlo Alberto adottò tuttavia la «bandiera tricolore italiana» quale «bandiera nazionale» e «simbolo dell'Unione italiana», con lo scudo di Savoia al centro. Fu la decisione vincente. Il tricolore cessò di essere emblema giacobino o solo repubblicano. Lo innalzò anche Garibaldi salpando da Quarto per la Sicilia.

Tale rimase la bandiera italiana sino alla partenza di Umberto II dall'Italia il 13 giugno 1946. Segretamente portata in Italia, proprio quella ammainata dalla torretta del Quirinale, una domenica del settembre 1999, sventolò dal Palazzo Municipale di Racconigi (Cuneo) per lo scoprimento di un busto di Umberto nel decennale della morte. La cosa passò liscia.

Le autorità della Repubblica sapevano - e sanno - che milioni di italiani in quattro guerre d'indipendenza e nella Seconda guerra mondiale si sono riconosciuti nella bandiera che coprì le bare dei caduti. Per la Patria.

Alle 5 pomeridiane del 6 novembre 1796 - dunque ancor prima di essere adottato dalla Repubblica Cispadana, a Reggio Emilia il 7 gennaio 1797 - il tricolore divenne insegna delle sei coorti della Legione Lombarda.

Ciascuna di esse recava al centro simboli (cappello frigio, gladi romani, emblemi massonici...) e un motto. Per esempio «Subordinazione alle leggi militari», «Eguaglianza o morte».
Subito dopo l'adozione del tricolore da parte della Repubblica Cispadana, la Guardia Civica Modonese (cioè di Modena) alzò un vessillo con i colori disposti in bande orizzontali (il rosso in alto, in mezzo il bianco e sotto il verde) e il motto «Libertà-Eguaglianza».
I tre colori ritornarono anche nello stemma della Repubblica ideato da Paolo Paschetto (30 gennaio 1948), ma solo come somma del bianco della stella a cinque punte, bordata di rosso e circondata dai due rami, verdi, di quercia e di alloro, tenuti in base da un nastro con la legenda «repubblica italiana», bianco su rosso.
La Giornata del Tricolore saggiamente voluta dal presidente Ciampi, rimanda dunque all'esempio dei due coraggiosi studenti dell'Università di Bologna che per primi unirono tricolore e lotta per la libertà. Una lezione permanente per l'Italia contemporanea.

Aldo A. Mola