L’EUROPA NEL SEICENTO E NEL SETTECENTO

Sulla scia della pace di Westfalia, il Seicento è il secolo che vede la proposizione, il maturare ed il diffondersi di importanti progetti di unità europea; progetti di un raccordo permanente per una pace duratura nel Continente. Di fronte a tensioni e guerre continue, menti illuminate non solo dei pensatori ed uomini di cultura, ma anche governanti e protagonisti degli scontri politici e militari, si fanno portatori dell’esigenza di definire assetti politici ed istituzionali nuovi, non a livello statale, ma a livello europeo. Emblematico sicuramente molto “proiettato in avanti” fu il progetto del re di Francia Enrico IV per una grande alleanza di pace fra tutti gli Stati europei, con la realizzazione di una Confederazione europea, quale sede per l’assunzione di decisioni comuni. Questo organismo doveva avere competenze, non solo per l’equilibrio degli Stati, ma anche per la politica di difesa nei confronti dei nemici esterni all’Europa e per le politiche dei commerci, con la soppressione delle barriere doganali e la libertà degli scambi. Quanta lungimiranza! E’ lo stesso progetto che sarà realizzato solo negli ultimi anni del Novecento, cioè dopo oltre tre secoli!

L’assassinio del re impedì che questo progetto andasse oltre questa prima fase di elaborazione.

Una singolare vicenda fu, poi, quella vissuta dall’inglese William Penn che, sul finire del Seicento, emigrò in America ed ottenne dal re inglese il territorio dell’attuale stato della Pennsylvania, quale pagamento per i forti debiti contratti dalla corona inglese nei riguardi di suo padre. Penn elaborò, per il “suo” Stato, una Costituzione che instaurava una repubblica a democrazia diretta, con elezioni a suffragio universale.

Questa esperienza ci offre lo spunto per anticipare un’osservazione riferita anche all’attualità.

Essa può fornire alcune chiavi di lettura per avvenimenti che interessano, oggi, gli Stati Uniti.

In sostanza, le ex colonie inglesi che lotteranno per la loro indipendenza nella seconda metà del Settecento e gli altri territori del Nord America che costituiranno poi gli Stati Uniti, hanno conosciuto solo questa “democrazia diretta” e possono essere definiti, per un certo verso, “integralisti democratici”. La “risposta” di questi integralisti, di fronte alle minacce alla democrazia, è, quindi, quasi sempre totale e, talvolta, “viscerale”. Quanta differenza con gli europei che hanno alle spalle una storia di maggior spessore, attraverso forme di Stato estremamente variegate (impero, monarchia, Stato assoluto, Stato costituzionale, dittature, etc.)! Questi europei, di fronte alle minacce alla democrazia, a differenza degli americani, proprio in virtù di questo loro background storico, sono portati a reagire in maniera più “soft” e raffinata.

 

Con l’avvio del Settecento – “il secolo dei lumi” – altri importanti progetti per l’unità europea appaiono e si diffondono in tutto il Continente. Fondamentale è il progetto dell’abate di Saint Pierre (1713) intitolato “progetto di pace perpetua” che, salvaguardando la sovranità dei singoli Stati, individua lo strumento per assicurare la pace in un Trattato istitutivo di una Unione Europea e di un Congresso rappresentativo di tutte le sovranità presenti in Europa. Si configura, quindi, una vera e propria Confederazione europea che prevede:

Il filosofo Emanuele Kant riprende ed amplia il progetto dell’abate poiché ritiene che l’obiettivo politico di una pace perpetua non possa limitarsi alla sola Europa, ma deve riguardare tutto il mondo, con la sottoscrizione di un trattato di pace universale non rescindibile.

Un altro significativo contributo all’idea d’Europa giunge da un filosofo illuminista Voltaire che individua nelle “tenebre dell’ignoranza e della superstizione” gli ostacoli maggiori per l’affermarsi di una soluzione politica europea. Fondamentale è, quindi, la crescita dell’unità culturale e morale dell’Europa. Secondo Voltaire, anche se il lavoro dei saggi appare inutile per il suo scarso seguito immediato, esso, tuttavia, riveste grande rilevanza in prospettiva, perché attraverso l’unità culturale sarà poi realizzata quella politica.

 

In merito è importante sottolineare che tutte le prospettazioni politiche cui si è fatto cenno erano finalizzate alla ricerca dell’equilibrio partendo dalla situazione di fatto incentrata sugli Stati esistenti. Solo alla fine del Settecento, con la Rivoluzione francese, il sistema di equilibrio andò in crisi quando la repubblica francese proclamò:

Sulla base di questo ultimo principio, Napoleone rivoluzionò l’equilibrio fra gli Stati dell’Europa settecentesca, poi ripristinato dal Congresso di Vienna del 1814-15.

In tal modo, quel concetto di equilibrio che aveva caratterizzato, nel Settecento, tutte le elaborazioni di intellettuali e statisti, al termine del secolo subiva una rottura clamorosa.

Verso la fine del Settecento prende poi corpo un altro filone ideologico che avrà conseguenze rilevantissimi fino alla seconda guerra mondiale.

Questo filone fu il “nazionalismo” introdotto dal filosofo Jean Jacques Rousseau che riprende il progetto dell’abate di Saint Pierre, ma, pur auspicando una forma di governo federativo, paventa che ciò possa ledere l’autonomia e l’identità delle singole Nazioni; autonomia ed identità che sono un valore da salvaguardare.

Rousseau entra in polemica con Voltaire fino al punto da contestare l’europeismo come un sterile processo livellatore della identità dei singoli popoli. L’europeismo di Roussseau ha forti connotati nazionali e si spinge fino al massimo ad una organizzazione di tipo federale.

Voltaire contesta questa idea perché ritiene pericoloso un ragionamento impostato sulla centralità dello spirito nazionale che, inevitabilmente, entrerà in collisione con un concetto continentale.

Gli elementi di difesa e valorizzazione dell’identità nazionale, sollevati da Rousseau, saranno ampiamente raccolti, già alla fine del Settecento, da poeti, pensatori, uomini di cultura e politici e daranno vita al nazionalismo e romanticismo dell’Ottocento.