L’AVVENTO E LA POLITICA DEL GENERALE DE GAULLE (1958 – 1969)

Nel periodo che va dal ’58 al ’69 la Comunità Europea fu interessata da due temi particolari:

·        la forte personalità del generale De Gaulle;

·        l’ingresso della Gran Bretagna.

I due temi sono molto intrecciati fra loro ed il confronto anglo-francese sarà connesso anche con la politica americana. Il periodo si chiuderà, da un lato, con la successione di Pompidou e, dall’altro, con l’ingresso di Londra nella CEE. Il risultato complessivo sarà quello di condizionare e, in qualche momento, paralizzare le istituzioni della Comunità. In ogni caso, questo è anche un periodo di straordinario successo economico per l’Europa dei “Sei”, che diventerà, alla fine degli anni ’60, la più grande potenza commerciale del pianeta, superando anche gli USA.

 

De Gaulle tornò al potere in Francia nel ’58, a seguito della sollevazione dei coloni e di parte dell’esercito francese in Algeria, per protesta contro la politica di Parigi orientata al ritiro dall’Algeria. De Gaulle credeva nella integrazione economica con i partner europei, ma in un quadro politico in cui gli Stati nazionali avrebbero assunto più peso e responsabilità (“Non ci può essere altra Europa che quella degli Stati, tutto il resto è mito, discorsi, sovrastrutture”).

Pur contrario alla burocrazia di Bruxelles, egli accettò un’accelerazione dei vari passaggi previsti dai Trattati istitutivi della CEE, allo scopo di realizzare le condizioni di quella politica agricola comunitaria di cui la Francia sarebbe stata la maggiore beneficiaria. Il suo era quindi il progetto di un’Europa confederale, da raggiungere attraverso accordi e contatti permanenti fra i governi.

Una costante della sua azione politica fu la creazione di un asse franco-tedesco. In segreto, tuttavia, tentò di pervenire ad un accordo con gli USA e la GB per istituire un “direttorio franco-anglo-americano” alla guida dell’Alleanza Atlantica.  Londra e Washington respinsero la proposta.

Il “no” anglo-americano spronò De Gaulle ad elaborare un disegno politico in cui l’Europa si poneva come “terza forza” fra USA ed URSS; questo sarà uno degli orientamenti di fondo della sua politica. Ed in questo quadro, doveva essere accentuata la leadership francese. Pertanto, la Gran Bretagna da partner diventava un concorrente (ecco il motivo delle sue resistenze all’ingresso della GB nella CEE, come vedremo dopo) e gli USA non erano più il protettore di un tempo, ma un interlocutore con cui confrontarsi. Necessità e condizione preliminare per tale politica era il fatto che la Francia si dotasse di una capacità militare nucleare (“La force de frappe”), per cui una delle prime decisioni del generale fu di accelerare i piani per l’atomica francese che esplodeva nel 1960 nel Sahara algerino.

 

In Gran Bretagna, intanto, prendeva corpo la marcia d’avvicinamento all’Europa senza che questo significava un’abiura al concetto di fondo espresso nella frase “Great Britain is OF but not IN Europe”. Ma ormai la capacità contrattuale della GB stava nettamente crollando. La distaccata superiorità nei riguardi dell’Europa, manifestata nell’immediato dopoguerra, quando era possibile sfruttare ancora i forti legami con il suo impero coloniale (il Commonwealth), costituiva ormai solo un’illusione. Con il disastroso esito della crisi di Suez, ormai la GB prendeva atto di non essere più una potenza mondiale, ma una potenza regionale.

 

Negli Stati Uniti, l’arrivo del nuovo Presidente John Kennedy portò al rilancio dell’iniziativa americana in Europa (dopo un periodo di relativo immobilismo) seguendo due filoni:

·        programma di liberalizzazione per un più intenso sviluppo di rapporti commerciali fra Europa e Stati Uniti;

·        più stretta integrazione del potenziale militare all’interno della NATO.

Sul piano commerciale, gli USA erano preoccupati dal successo del Mercato Comune che attirava in Europa una quantità crescente d’investimenti dagli Stati Uniti.

Sul piano militare, poi, la nuova strategia della “risposta flessibile” comportava un aumento degli armamenti convenzionali ed un controllo ancor più centralizzato delle risorse dell’Alleanza (che era chiaramente sotto la leadership americana); controllo da estendere (secondo gli USA) anche all’armamento nucleare francese.

 

De Gaulle fu, ovviamente, contrario alla nuova dottrina strategica, proprio perché essa comportava un controllo sulla “Force de frappe” francese e dichiarò, fin dall’inizio che le sue forze nucleari sarebbero state sempre indipendenti e sotto assoluto controllo nazionale.

 

Il 9 agosto del ’61 il Premier inglese avanzò la formale candidatura britannica all’ingresso nella CEE. Era una svolta clamorosa nella politica inglese. La trattativa fu lunga e laboriosa, anche perché la “tariffa esterna” avrebbe reso molto difficile, per la GB, la conservazione di rapporti preferenziali con i Paesi del Commonwealth.

De Gaulle (ormai liberato dalla ipoteca algerina dopo aver concesso la piena indipendenza al paese maghrebino) riuscì a convincere i partner della CEE ad istituire una Commissione per dare una forma istituzionale alla volontà di unione politica esistente fra i Paesi della CEE.

La Commissione fu presieduta dal francese Christian Fouchet e, nel novembre del ’61, produsse un primo piano denominato “Fouchet 1” che prevedeva:

·        un Consiglio dei Ministri, composto dai Capi di Stato e di Governo ovvero dai Ministri degli Esteri (riunioni ogni 4 mesi - decisioni all’unanimità – clausola di revisione per passare ad una votazione a maggioranza);

·        Assemblea parlamentare, con facoltà di proporre raccomandazioni ed interrogazioni anche al Consiglio dei Ministri;

·        Commissione esecutiva, con alti funzionari designati dai governi per preparare le deliberazioni del Consiglio e per controllarne l’attuazione.

Nel Preambolo al Piano veniva garantito il rispetto delle istituzioni della Comunità già esistenti e veniva escluso che la politica di difesa potesse orientarsi in maniera difforme da quella della NATO.  Il principio ispiratore era quello della cooperazione fra Stati sovrani (e quindi più vicino ad un approccio confederale)

 

Dopo due mesi, però fu elaborato il piano “Fouchet 2” che, rispetto a quello precedente, segnava un deciso passo indietro poiché ometteva i riferimenti alle strutture previste dai Trattati di Roma ed all’Alleanza Atlantica. Inoltre l’Assemblea comunitaria aveva poteri più ridotti. Infine, fu eliminata la prospettiva di un sistema di votazione a maggioranza.

In pratica esso era poco più che un “Patto di consultazione”. Gli altri Paesi non accettarono e dopo altri tentativi di compromessi, nell’aprile del ’62 il documento fu definitivamente abbandonato. Questo anche perché i Paesi minori affermarono che le discussioni sul Piano erano superflue finché non fosse stato risolto il problema dell’ingresso della GB nella Comunità.

 

Il fallimento del Piano “Fouchet 2” urtò la sensibilità del Gen. de Gaulle che vi intravedeva la “longa manus” della Gran Bretagna. Ulteriore elemento di irritazione fu la politica avviata dal nuovo Presidente USA Kennedy che mise a disposizione della NATO armamenti nucleari di teatro (missili Polaris imbarcati su navi), nel quadro dell’Alleanza atlantica e quindi sotto controllo americano (“le dita sul grilletto in mano ai generali del Pentagono”). Ad anticipazione di questa possibilità, fu sancito un primo accordo fra USA e GB per l’installazione dei missili Polaris su naviglio inglese.

De Gaulle reagì con una dichiarazione clamorosa, il 14 gennaio del ’63, con cui annunciava il veto della Francia all’ingresso della GB nella CEE, poiché quel Paese seguiva una politica troppo legata ai suoi interessi di potenza insulare. Il no francese alla GB era, indirettamente, anche un no agli USA ed ai loro programmi di integrazione militare che tendevano a privare i Paesi europei di una capacità di difesa autonoma, specie nel settore nucleare.

De Gaulle indicò, invece, nei rapporti franco-tedeschi l’architrave della sicurezza europea ed, a tal fine, pochi giorni dopo, fu firmato fra il generale ed il Cancelliere tedesco Adenauer un Trattato di collaborazione fra i due Paesi. Tuttavia, questo patto venne approvato dal parlamento tedesco aggiungendovi un preambolo pro NATO che confermava la vocazione di atlantismo tedesca. In pratica, il Patto fu snaturato. La reazione di De Gaulle fu “la Germania torna ad essere la legione straniera americana in Europa”. Tramontava, così, la sua politica per un’Europa carolingia.

 

Si creò una situazione di stallo poiché erano falliti entrambi i disegni politici contrapposti:

·        quello francese, per un’Europa “terza forza”, dotata di un’autonoma capacità nucleare (la “force de frappe” francese);

·        quello americano, per una partnership atlantica a marcata guida americana, con una capacità nucleare solo in mano agli USA.

 

Ritornando alla nostra storia dell’idea di Europa, dopo il primo veto antibritannico espresso da De Gaulle (gennaio ’63), l’atmosfera in seno alle istituzioni comunitarie si raffreddò e diventò più difficile il funzionamento della macchina comunitaria, che riprese un certo dinamismo quando a dirigere la Commissione esecutiva fu designato il tedesco Walter Hallstein.

Nel dicembre del ’64, Hallstein preparò un dossier finalizzato al finanziamento della politica agricola comune, ma che aveva anche precise finalità politiche. In pratica, i sussidi all’agricoltura non dovevano più venire da contributi forfettari dei Paesi membri, ma da una “cassa comune” costituita dai proventi dei dazi doganali e dei prelievi agricoli. Il nuovo Piano doveva entrare in vigore nel ’67 anno in cui, secondo i Trattati CEE, era fissata la completa liberalizzazione degli scambi commerciali. Il risvolto politico consisteva nel fatto che, in tal modo, la Commissione aveva risorse proprie e crescevano i poteri di controllo e verifica del Parlamento europeo. Si creavano in tal modo delle strutture sovranazionali, nei cui riguardi la Francia aveva sempre manifestato il suo dissenso.  

La proposta fu approvata in seno alla Commissione con 7 voti favorevoli e due contrari, quelli francesi. Nonostante ciò, il 30 giugno del ’65, la Commissione presentò comunque la proposta al Consiglio dei Ministri. In questa sede i francesi non si limitarono ad esprimere fermamente il loro rifiuto, ma abbandonarono le riunioni e dichiararono che avrebbero sospeso la loro partecipazione alle attività di tutti gli organi della Comunità. Iniziava la crisi della “sedia vuota”, la più clamorosa e grave crisi della storia comunitaria.

Fu commesso, indubbiamente, un errore di calcolo ben conoscendo la sensibilità del Generale proprio sul terreno agricolo. Invece di fare un passo avanti, ne fu fatto uno indietro.

Bisogna, inoltre, considerare che, proprio in quel periodo, De Gaulle, nella sua battaglia contro la presunta subordinazione dell’Europa al potere economico, politico e militare americano, aveva:

·        avviato un’apertura nei confronti dell’Unione Sovietica con la formula “Una sola Europa dall’Atlantico agli Urali”;

·        riconosciuto la Cina popolare;

·        avviato un attacco alla supremazia del dollaro proponendo il ritorno all’oro come mezzo di regolazione delle transizioni internazionali;

·        abbandonato l’organizzazione militare della NATO.

 

Un riavvicinamento fra la Comunità e la Francia si ebbe nel ’66 e fu opera del Ministro degli Esteri olandese Joseph Luns, con il qualificato contributo anche del Ministro italiano Emilio Colombo.

In sostanza venivano accolte le richieste francesi e ridimensionate considerevolmente le prerogative della Commissione. Inoltre veniva rinviata a tempi successivi l’applicazione del sistema di votazione a maggioranza. Come già indicato i francesi erano decisamente ostili alla votazione a maggioranza e bisognerà attendere 20 anni, con il varo dell’Atto Unico, prima che il sistema delle votazioni a maggioranza qualificata si estendesse ad una serie di importanti materie. D’altronde, a fronte di un rischio di un completo naufragio della Comunità, era conveniente per tutti, limitare le perdite.

 

Nel 1966 il governo inglese rinnovò la richiesta di ingresso in Europa. L’Italia appoggiò questa richiesta ed operò, con il Ministro Fanfani, un’intensa azione diplomatica per convincere i partner europei. La ricorrenza del decennale di Trattati di Roma, nel maggio del ’67, a Roma, sembrò aprire la possibilità per un ingresso inglese. Ma la Francia ribadì la propria opposizione e l’unico risultato della riunione romana fu la decisione di fondere, dal 1° luglio del ’67, i tre istituti comunitari CEE, Euratom ed Alta Autorità per la CECA.

Nel ’68 si verificavano, a partire proprio dalla Francia, i fenomeni della “contestazione globale”. Ebbe luogo anche la tragica fine della “primavera di Praga” con i carri armati sovietici che cancellarono le illusioni di un “socialismo dal volto umano”.

Continuavano le pressioni per l’ingresso della GB nella Comunità. Di fronte alla pressione degli altri partner, nel febbraio del ’69, con uno dei classici ripensamenti francesi, De Gaulle incontrò segretamente l’ambasciatore francese cui propose un direttorio anglo francese, quale condizione per l’entrata della GB nella CEE. La proposta che doveva essere tenuta segreta fu, invece, portata a conoscenza degli organi di stampa. Ciò suscitò la reazione del Generale che, nell’aprile dello stesso anno, dovette subire un’ulteriore delusione per la perdita del referendum da lui stesso promosso per ridisegnare la struttura istituzionale della Francia.

Deluso per tutto ciò il Generale De Gaulle lasciò sdegnosamente e, questa volta, definitivamente la scena politica francese, europea e mondiale.

Si chiudeva così un periodo contrassegnato da grandi successi economici e da significativi fallimenti per l’integrazione politica.

L’intesa franco-tedesca si era, comunque, mostrata la trave portante della struttura della Comunità. Infatti, nel luglio del ’68, con 18 mesi di anticipo rispetto alla data fissata, scomparivano tutti i dazi doganali all’interno del MEC e venivano unificate le tariffe esterne.

In 7 anni la produzione ed i parametri economici del MEC erano diventati i seguenti:

·        produzione industriale = + 52%;

·        prodotto nazionale = + 38%;

·        commercio intercomunitario = + 166%;

·        esportazione verso Paesi terzi = + 51%.

Rimanevano forti differenze tra Paesi e Paesi e fra regioni e regioni, ma il dato complessivo era molto incoraggiante.